La Shoah a Venezia. Ricordare per non dimenticare.

di Laura Bumbalova

Bisogna ricordare quei tempi e tramandarli ai nostri figli perché non si ripetano.”

Elio Toaff

Il 15 luglio 1938 Venezia si sveglia con la notizia pubblicata nei due giornali locali “Il Gazzettino” e la “Gazzetta”, la notizia uscita un giorno prima nel “Giornale d’Italia” di Roma, è quella che annuncia l’esistenza del “Manifesto della razza”, redatto da un gruppo di scienziati italiani. In esso si sostiene che le razze umane esistono, che si dividono in razze “grandi” e “piccole”, che la popolazione italiana è di razza ariana e che lo scopo è quello di raggiungerne la purezza. Questo fatidico manifesto è l’inizio della fine per molti ebrei in Italia, quello che in Germania era avvenuto con le leggi razziali, già a partire dal 15 settembre 1935, stava diventato realtà anche da noi.

Da questo momento in poi partirono una serie di azioni governative che riguardarono anche Venezia. L’11 agosto 1938, per esempio, arrivò l’ordine del Ministro dell’Interno di censire gli ebrei. Ebreo era, colui che era nato da genitori di cui uno di razza ebraica, anche se appartenente a religione diversa da quella ebraica; colui che era nato da genitori uno di razza ebraica e l’altro di nazionalità straniera; colui che era nato da madre di razza ebraica e padre ignoto e come per assurdo, non era considerato di tale razza, colui che era nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica e che alla data del 1 ottobre 1938 apparteneva a religione diversa da quella ebraica.

Nel censimento vengono individuati 2189 ebrei residenti nella provincia di Venezia, di cui 2136 persone nella città lagunare,1471 che si professano di religione ebraica, 616 cattolici e 49 agnostici. Da un’analisi attenta di questi elenchi risulta che una buona fetta degli ebrei di Venezia era composta da popolazione non attiva- molte casalinghe, pensionati, malati e bambini. Al censimento seguirono i licenziamenti, l’esclusione dalle scuole pubbliche, la chiusura delle loro attività e molte altre discriminazioni e ingiustizie.

Fortunatamente a seguito delle leggi razziali furono aperte due scuole ebraiche. La scuola elementare ebraica, che aveva sede al primo piano del fabbricato di Cannaregio 1189 ed era una sezione distaccata della scuola statale di San Girolamo Emiliani. E la scuola media, che inizialmente si trovava in un locale della comunità ebraica a Castello, in calle del Rimedio 4407 e  successivamente fu trasferita sempre a Castello, ma al civico 4761. In calle del Rimedio si riuniva anche l’allora formata Associazione delle donne ebree d’Italia, con presidente per Venezia, Amelia Fano.

Mentre in Germania già nel 1941 era iniziata la deportazione sistematica degli ebrei tedeschi e il 20 gennaio 1942 nella conferenza di Wannsee, i capi nazisti parlavano di “soluzione finale” e di sterminio, in Italia gli ebrei speravano che la situazione migliorasse, ma nel 1943 l’azione persecutoria dei tedeschi venne fatta propria anche dalla Repubblica di Salò.

In questi anni tremendi per la comunità ebraica di Venezia oltre ad Amelia Fano, che riuscì a salvarsi e rimase presidente della sovra citata associazione anche dopo la guerra, molto importanti furono il professor Giuseppe Jona, che nel 1940 divenne presidente della Comunità ebraica e il rabbino Adolfo Ottolenghi.

Giuseppe Jona, prima delle leggi razziali era primario di Medicina interna all’Ospedale Civile di Venezia, fu anche presidente dell’Ateneo Veneto, questo illustre professore dimostrò un profondo amore per la sua città e per la comunità ebraica, fece un importante lascito all’Ospedale per cui aveva lavorato (infatti a lui è dedicato un intero padiglione dell’odierno Ospedale di Venezia) e il mattino del 17 settembre 1943 prima di togliersi la vita distrusse tutti gli elenchi degli iscritti alla comunità ebraica affinché non cadessero nelle mani dei nazisti, molti ebrei grazie a questo suo sacrificio furono salvati.

jona

Il rabbino Adolfo Ottolenghi (anziano e cieco) a sua volta, già nel aprile del 1942, subì un aggressione da parte di alcuni squadristi fascisti che presero di mira il ghetto, ma nonostante tutto decise di rimanere a Venezia per seguire le sorti della sua comunità.

Dopo la morte di Jona la situazione diventò sempre più drammatica, i 5 dicembre 1943 il questore Cordova ordinò l’arresto degli ebrei- 150 tra donne e uomini e 19 bambini. Gli uomini furono condotti nel carcere di Santa Maria Maggiore, le donne alla Giudecca e i bambini al centro per minorenni. Nella settimana successiva alcuni furono trasferiti nella casa di ricovero israelitica (che era stata concepita come luogo di degenza per gli anziani, poi in tempo di guerra adibita anche a mensa per i membri poveri della comunità e per gli ebrei stranieri), altri, tra cui molte donne, nel convitto Marco Foscarini a Cannaregio (che veniva usato come Caserma della guardia di Salò e alloggio per gli sfollati della terraferma e dei profughi istriani). Il 31 dicembre dalla Stazione di Santa Lucia sul treno 1545 alle 12:20 in punto, in due carrozze di terza classe venne deportata buona parte di loro, la destinazione era il campo di concentramento di Fossoli (presso Carpi). Il 18 gennaio partirono per Fossoli anche alcuni minori che per ragioni di salute non erano potuti partire prima. Tutti insieme a loro volta il 22 febbraio 1944 furono caricati verso la Polonia, al campo di sterminio di Auschwitz.

Nell’estate del 1944 la situazione a Venezia stava degenerando, in città si era trasferito un distaccamento delle SS, guidato da un certo capitano Stangl e fu in quel frangente che non vennero risparmiati nemmeno i ventuno anziani della Casa di ricovero di Venezia, assieme al rabbino Adolfo Ottolenghi.

ottolenghi

In memoria di queste vittime, su uno dei lati del campo del Ghetto nuovo, nel 1980 fu posto un monumento costituito da sette formelle bronzee, opera dell’artista lituano Arbit Blatas. Guardando quest’opera non posso non citare le parole di Liana Millu: “Passaci, ragazza. Guarda e soffri un po’: sarà anche un modo per tutelare la tua vita, tutelare il tuo futuro. L’albero della libertà, ragazza, per crescere bene nell’animo ha bisogno di un humus dove ci sia sofferenza. E loro, gli ebrei del Ghetto, ce ne hanno messa tanta e in ogni tempo”.

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Se ti interessa approfondire l’argomento sulle leggi razziali leggi anche L’atteggiamento di alcuni ambienti cattolici nei confronti degli Ebrei nel periodo fascista in  http://www.amazon.it/Latteggiamento-ambienti-cattolici-riguardi-fascista-ebook/dp/B00W4E1P1I

 

 

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