Le ampolle devozionali e i viaggi ad loca sancta

di Laura Bumbalova

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Le ampolle devozionali, note come ̉́́́́́Έλαιαι (oli), oppure, più frequentemente, come Έυλογíαι (benedizioni), sono in relazione con i viaggi ad loca sancta, con la consuetudine, largamente diffusa già nell’antichità, di visitare in pellegrinaggio i luoghi sacri del mondo cristiano, di recarsi a pregare sulle tombe dei santi, soprattutto in occasione dell’anniversario del loro dies natalis. Di questa consuetudine nella Tarda antichità si ha notizia dall’Itinerario Burdigalense (333) e da quelli di Egeria (381-384), dell’Anonimo Piacentino (560-570) e di Adamnano (679-682). I santuari più frequentati si trovavano in Egitto, nell’area siro-palestinese e a Costantinopoli, altri minori, nell’area microasiatica.

Le ampolle erano tra gli oggetti-ricordo dei santuari visitati. In terracotta e, più raramente, in metallo o in vetro, probabilmente sigillate con piccoli tappi in argilla e paglia o altre fibre vegetali, si distinguono per la loro forma caratteristica a borraccia da pellegrino in miniatura. In questi contenitori si raccoglievano le gocce dell’olio delle lampade, che ardevano davanti ai sepolcri, degli oli con cui erano cosparsi i corpi dei santi o dell’acqua miracolosa, che sgorgava nella cripta, ove il santo era deposto. Di tale uso parlano Giovanni Crisostomo, Teodoreto di Ciro, l’Antonino Piacentino, Gregorio di Tours e Paolino di Périgueux. La pellegrina Egeria descrive come i monaci, che custodivano i santuari, usassero raccogliere per i visitatori tali ricordi presso le tombe dei santi: eulogias dignati sunt dare mihi et omnibus, qui mecum erant, sicut est consuetudo monachis dare, his tamen, quos libenti animo suscipiunt in monasteriis suis. La raccolta dei ricordi era considerata dai Padri della Chiesa uno dei migliori frutti del pellegrinaggio. Ai liquidi contenuti nelle ampolle si attribuivano le più svariate virtù protettive e taumaturgiche, per il solo fatto di essere state per qualche tempo presso il corpo di un santo. Nella Vita patrum Jurensium si ricorda appunto Antidiolus sanctus presbyter, che possedeva ampullam cum oleo beati Martini, quae salutis gratia ad lectuli sui capitium dependebat, plenam clausamque. Questa devozione è testimoniata anche dalle ampolle conservate nel Tesoro del Duomo di Monza e nel Museo di S. Colombano, a Bobbio; le une vennero donate nel 600 dal Papa Gregorio Magno alla regina Teodolinda, le altre, trovate nella cripta del monastero di S. Colombano, furono offerte probabilmente da Teodolinda e Agilulfo al monastero fondato dal Santo, un missionario irlandese che fu in contatto con i sovrani longobardi. Le celebri ampolle contenevano gli oli raccolti nei Luoghi Santi, come testimoniano sia un’iscrizione (Olio dell’albero della vita dei luoghi santi del Signore), sia le scene raffigurate (la Natività, l’Adorazione dei Magi e dei Pastori, il Battesimo di Cristo, la Crocifissione, la Resurrezione, l’Ascensione, la Vergine in trono), che sono in stretta relazione con i mosaici dei principali santuari della Terra Santa.

Ampolla

Numerose sono anche le  eulogie di S. Menas, oggi in collezioni private e in musei di vari Paesi, che erano dei  ricordi del pellegrinaggio al santuario egiziano di S. Menas e contenevano gocce di acqua miracolosa. Il santuario, di importanza nazionale per l’Egitto copto e meta di pellegrini provenienti dai confini estremi del mondo cristiano, si trovava a circa quaranta chilometri a sud-ovest di Alessandria, al centro della regione di Maryût, che si estendeva ad ovest e sud-ovest della città, nell’angolo compreso tra il mare e l’estremità occidentale del Nilo, raggiungendo el-Hammâm e la catena di dune di sabbia a nord del Wadi’n-Natrûn. La basilica del Santo venne edificata intorno alla fine del IV – inizi del V secolo e subì ampliamenti e modifiche soprattutto nell’ultimo quarto del V secolo, sotto Zenone (478-491). Alcune parti del complesso furono abbandonate negli anni dell’invasione araba (intorno al 641), ma l’attività del santuario non cessò prima della metà del IX secolo. All’epoca del patriarca Beniamino II (1327-1399) il corpo di S. Menas fu riscoperto tra le rovine del santuario e portato al Cairo, dove il culto venne introdotto a partire dalla metà del XIV secolo. Il santuario di S. Menas della regione di Maryût, come oggi quello di Lourdes, doveva la sua fama ad una fonte di acqua miracolosa, che sgorgava vicino alla tomba del Santo. Un momento importante nel pellegrinaggio era proprio la raccolta di quest’acqua e un pellegrino di Smirne in un’iscrizione, graffita su una parete del santuario, consiglia: ΜΗΝΗΣC ΠΑΝΚΑΛΟΝ ΛΑΒΕ/ΥΔΩΡ   ΟΔΥΝΗ ΑΠΕΔΡΑ ΚΕΒ/ ΕΥΜΕΝ ΖΜΥΠΝΑΙΟC (Raccogli l’acqua benefica di Menas e la sofferenza si allontanerà. Signore aiutaci. [Uno] di Smirne)

Le eulogie di S. Menas erano prodotte in serie in botteghe attive nell’area dello stesso santuario. Le ampolle finora note sono tutte a forma di borraccia di pellegrino, ma di dimensioni diverse (da circa 10 cm a quelle di una borraccia normale), presentano in genere una decorazione impressa su entrambe le facciate: con S. Menas in posizione di orante tra due cammelli, con rappresentazioni fortemente schematiche del santuario, con una barca, con una testa di negro, con una testa femminile (forse Santa Tecla, abbinata nel culto al Santo), con un canestro pieno di pani, o con una semplice croce. L’iconografia di S.Menas e dei cammelli è ampiamente attestata dalla leggenda sulla fondazione del santuario egiziano. Secondo una variante della leggenda dopo il supplizio, i Cristiani, per assecondare le ultime volontà del martire, affidarono i suoi resti mortali al dorso di un cammello, il quale guidato da un angelo, li portò fino al luogo dove poi venne eretta la basilica: ad Anavarza in Cilicia, dove in realtà è stata scoperta una basilica dedicata al santo, costruita dall’architetto Filagrio di Keramos al tempo di Anastasio I (491-518). In seguito truppe di stanza in Frigia, furono inviate in Egitto al comando del prefetto Atnasis, per domare una rivolta scoppiata nella regione del lago Mareotis. Il prefetto che guidava la spedizione via mare, a protezione sua e delle truppe, prese con sé le reliquie del martire. La traversata fu burrascosa e funestata da fenomeni spaventosi: mostri marini con teste di cammelli e colli lunghissimi sbucavano da sotto le navi e tentavano di risucchiare i passeggeri. Ma dal corpo del santo si sprigionavano fiamme che ricacciavano i mostri in mare e la spedizione ebbe così esito felice. Avvenne però che, al momento di ritornare in Frigia, il cammello che aveva sul dorso il corpo del martire si inginocchiò e si rifiutò di muoversi; altrettanto fecero gli altri cammelli che avrebbero dovuto formare la carovana fino alle navi all’ancora: era un segno che Menas voleva restare in Egitto e precisamente nei pressi del lago Mareotis. Atnasis si accontentò di riportare in Frigia un’immagine del martire scolpita sul legno, mentre i resti mortali furono sepolti in Egitto dentro una cassa di legno incorruttibile. Esisteva anche un’altra variante della leggenda, secondo cui, dopo la decapitazione, fedeli del Santo caricarono segretamente le sue spoglie su un battello diretto in Egitto. Il battello venne attaccato da due mostri marini, che furono sopraffatti dal potere delle reliquie del Martire. Giunte in Egitto le sue spoglie furono affidate a due cammelli, i quali si fermarono soltanto nei pressi di una sorgente, che all’improvviso acquistò virtù miracolose.

Menas tra due cammelli è raffigurato nella posa della Potnia Theron greca, di Horus egiziano, di Daniele nella fossa dei leoni, secondo un’iconografia che potrebbe essere stata ispirata proprio dall’immagine del Santo che, secondo la descrizione del geografo arabo El-Bekri, che in realtà risulta essere copia di originali più antichi, si trovava nella cripta della basilica:

“… Di là si giunse ad Abu Mina, grande chiesa che racchiude immagini e sculture assai strane. Vi sono lampade accese giorno e notte che mai si spengono. In fondo a questa costruzione si vede una grande cupola che racchiude un’immagine di un uomo, che si tiene eretto con un piede appoggiato ad un cammello, una mano è aperta e l’altra è chiusa. Questo gruppo tutto in marmo si dice rappresenti Abu Mina.”

Le ampolle devozionali e i luoghi di pellegrinaggio sono oggetto dei miei studi da una decina d’anni, l’input è venuto quando la conservatrice del Museo Archeologico di Sofia (Bulgaria), la dott.ssa Pavlina Ilieva mi diede la possibilità di schedare un’ampolla di San Menas, del loro Museo. Oggi questa ampolla inedita è stata da me pubblicata in un articolo di una nota rivista scientifica bulgara.

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