La prostituzione a Venezia ai tempi della Serenissima

di Laura Bumbalova
Le prostitute ai tempi della Repubblica abitavano sparse per la città, ma dal Trecento cominciarono a risiedere soprattutto nel cosiddetto Castelletto, una serie di case di proprietà delle famiglie Venier e Morosini, vicino a Rialto, nei pressi della chiesa non più esistente di San Matteo.
Un secolo dopo occuparono anche le case alle Carampane, che erano dei possedimenti originariamente appartenuti alla famiglia Rampani (famosa famiglia veneziana nota per il suo ultimo discendente Nicolò Rampani, avogador del comun, morto nel 1319). Questi possedimenti passarono poi di proprietà alla famiglia Trapani.
Della prostituzione in questa zona rimangono tracce nella toponomastica, il ponte delle tette per esempio, ricorda come le prostitute che per attirare i clienti si mostravano con il seno nudo alle finestre.

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Nel Seicento alle Carampane rimasero solo le donne di piacere vecchie, da qui il detto “ti xe una vecia carampana”, cioè una donna non più attraente, addirittura sgradevole. Le vecchie carampane a Venezia venivano anche chiamate “ruffiane”.
Ai tempi della Repubblica le prostitute si dividevano in due categorie, quelle di basso rango, le meretrici, frequentate dai poveracci e quelle di alto rango, che nel Rinascimento vennero chiamate cortigiane. Le cortigiane erano delle belle donne, donne che rispondevano non solo alle esigenze della carne, ma erano dame di compagnia, confidenti di segreti e buone interlocutrici, perché acculturate e colte.
Vi sono alcune principali disposizioni che la Repubblica Serenissima fa nel corso dei secoli riguardo alla prostituzione, per esempio il 12 settembre 1539, ordina che “nessuna meretrice o cortigiana possa abitare o stare in luogo alcuno che sia nelle vicinanze di chiese e luoghi sacri né possa andare in chiesa nei giorni di festa e nelle principali solennità; che nessuna meretrice o cortigiana possa andare a perdono se non nelle ore tra la nona e il vespero; che siano banditi i luoghi e le pubbliche scuole dove concorrono ogni sorta di meretrici; che sia proibito a ruffiani e ruffiane tenere in casa né a guadagno meretrici, eccettuando quelli che stanno nei luoghi pubblici e nei postriboli”. Dal 21 febbraio 1543 veniva addirittura proibito alle meretrici di portare oro, argento e seta, catenelle, perle, pietre. Altri provvedimenti vietavano loro di abitare sul Canal Grande, di passeggiare per le strade principali o di andare in gondola nei canali centrali.
Le prostitute si facevano pagare, e le cortigiane si facevano pagare molto, era un servizio quindi non alla portata di tutti.
Spesso anche i casini e i ridotti erano luoghi che le cortigiane frequentavano.
Vi erano degli elenchi di cortigiane, con i loro indirizzi e le loro tariffe. In un elenco del Cinquecento per esempio risulta tra le varie cortigiane anche Veronica Franco (1546-1591), che prendeva due scudi ed esercitava nella casa della madre nei pressi di Santa Maria Formosa, ma abitava a San Giovanni Crisostomo. Veronica fu sposa di un medico, Paolo Panizza, ma presto si diede all’amore. Fu amata e ammirata da due poeti- Marco e Domenico Venier. Di lei fece un bellissimo ritratto anche Jacopo Tintoretto.

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Ma il momento più importante della sua vita fu l’incontro con Enrico III, che si intrattenne con lei e si portò via il di lei ritratto. Per Veronica, Enrico, non fu un semplice cliente, ma uno dei suoi grandi amori e a lui dedicò due sonetti e una lettera piena di passione.
Questa donna venne anche accusata di invocazioni diaboliche e sortilegi, ma presto fu assolta.
E attorno al 1580 fondò assieme ad altri veneziani un istituto per le prostitute che volevano cambiare vita, questi istituti si chiamavano “case di soccorso”, quella che lei fonda si trovava nei pressi della Chiesa di San Nicolò da Tolentino, ma vi erano altre una a San Pietro in Castello, a San Gervasio e Protasio, alle Zitelle (Giudecca) e nel Settecento anche a San Giobbe.
Anche Angela dal Moro detta Zaffetta era una cortigiana, contemporanea della Franco, di lei si invaghisce Lorenzo Venier, ma per una delusione d’amore lo stesso scrisse un poemetto intitolato “La Zaffetta”, che racconta della violenza che lui organizzò per vendicarsi con Angela. La fece portare con l’inganno a Chioggia e lì la fece violentare da tanti uomini, questa brutta storia fu ricordata anche da Pietro Aretino nella sua commedia “La Cortigiana”, atto IV, scena VIII.
Aretino, ammirava molto la bella Angela e in una delle sue opere dice di lei: “Io vi do la palma, sopra quante godono allegra vita. Nella vostra casa il libertinaggio prende sembianze della decenza. Ma ditemi, qual prestigioso è il vostro nel sapervi ognor circondare di nuovi amici, senza perdere gli antichi?”
Angela è una delle cortigiane oneste a cui si ispira anche Tiziano per il suo “Amor Sacro e Amor Profano”. In questo dipinto la Zaffetta è la personificazione dell’Amor Sacro, mentre Violante, figlia di Jacopo Palma il Giovane, dell’Amor Profano.

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Le cortigiane a Venezia erano soggette a divieti, a violenze vere o presunte, a derisioni. Nel Cinquecento, per esempio, cominciano ad essere pubblicati sonetti in cui gli autori ponevano in guardia gli uomini dalle donne di piacere. A Rialto inoltre in Campo San Giacometto, sulla colonna e sul “Gobbo” venivano affissi versi satirici anche rivolti alle meretrici e alle cortigiane.

Nonostante tutto le cortigiane, oltre alle Carampane, avevano un luogo dove potevano mettersi in mostra un loro “corso” acqueo, il Rio della Sensa a Sant’Alvise, qui potevano sfilare nelle loro imbarcazioni e chi passava in fondamenta le poteva ammirare, desiderare, sognare. Andate anche voi lungo questo percorso tenendo tra le mani la riproduzione del dipinto di Gabriel Bella che fa rivivere “il rio delle cortigiane”.

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Grazie a questo quadro il desiderio e la passione, stimoleranno la vostra curiosità e vi spingeranno a cercare i luoghi della Venezia erotica.

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