La lingua bulgara e i suoi dialetti

Laura Bumbalova

Per capire cosa significa dialetto, bisogna chiarire il concetto di lingua. Secondo alcuni studiosi “una lingua è un insieme di dialetti reciprocamente intellegibili” (J.K.Chambers, La Dialettologia, Bologna, 1987, p. 15), da questa definizione risulta che i dialetti sono delle sottoparti di una lingua. Ma, giustamente, come sostiene il dialettologo inglese Chambers, la definizione di “reciprocamente intellegibili” non è del tutto corretta, perché in tal caso le lingue scandinave (norvegese, svedese, danese), che sono “reciprocamente intellegibili”, devono essere considerate tre dialetti di un’unica lingua, oppure i dialetti italiani che non sono comprensibili l’uno dall’altro dovrebbero essere, secondo lo stesso principio, tante lingue differenti.

Di conseguenza Chambers sottolinea che il concetto di lingua è molto complesso nel suo insieme, legato ad elementi non solo linguistici, ma anche politici, geografici, storici, sociologici e culturali; inoltre egli sostiene che si tratta di un termine non abbastanza tecnico, per questo lo sostituisce con quello di varietà (Chambers 1987, pp. 15-18). A varietà annette altri due termini, come accento e dialettoAccento è il modo in cui il parlante pronuncia e quindi una varietà che è diversa da altre per la fonetica e/o per la fonologia. Dialetti sono delle varietà che possono essere grammaticalmente e lessicalmente differenti.

Inoltre, Chambers dimostra che da un punto di vista geografico il dialetto non ha mai una completa interruzione, per questo si può parlare di un continuum di dialetti geografici (Chambers 1987, pp. 19-21). Un esempio che puo’ interessare è il continuum dialettale slavo meridionale, che comprende: sloveno, serbo, croato, macedone e bulgaro.

Si puo’ parlare anche di aree linguistiche (Chambers 1987, pp. 236-238) e i Balcani senza dubbio sono l’area linguistica più conosciuta. In queste aree linguistiche le innovazioni cominciano in un dialetto e poi si estendono alla varietà vicina (effetto di prossimità), senza guardare i confini linguistici. Dell’area linguistica balcanica fanno parte il romeno, il bulgaro, il macedone, l’albanese e il greco. Queste lingue diverse l’una dall’altra, presentano delle somiglianze, per esempio la presenza nell’albanese, bulgaro, macedone e romeno dell’articolo determinativo posposto, vedi la parola lupo nelle varie lingue:

– in romeno lup- lupul;

– in bulgaro vălk-vălkăt;

– in albanese ujk-ujku.

Da questo discorso emerge che i termini- lingua e dialetto, sono estremamente aperti e intrecciabili l’uno con l’altro. Per questo lo studio dei dialetti bulgari deve iniziare da quello della storia della lingua e del lessico bulgaro, scritto e parlato, le cui origini sono legate a due processi paralleli (D.Ivanova- Mirčeva, I.Haralampiev, Istoria na balgarskija ezik, Veliko Tarnovo 1999, pp. 329-379). A quello della storia interna del lessico, in cui sono compresi problemi come, la molteplicità dei significati, l’allargamento della struttura semantica, il ruolo della metafora, del significato traslato, della sinonimia, dell’omonimia e i calchi dal greco. In questo ambito entrano anche processi che riguardano contemporaneamente la grammatica e la semantica, come per esempio la sostantivazione, l’aggettivazione e l’abbreviazione. Non da meno è quello della storia esterna del lessico, che riguarda i prestiti da altre lingue ed è molto articolata e ricca. Essa riguarda i prestiti che la lingua bulgara fa dal protobulgaro, dal greco, dal turco e dal russo.

Gli studiosi hanno rilevato che allo stato odierno, nella lingua bulgara, sono presenti circa 100 prestiti dal protobulgaro, tra i quali sono compresi anche i nomi propri e di località. Quelli più in uso sono: kuče (cane), tojaga (bastone), kovčeg (cassa da morto) e altri, o anche in nomi propri come Bojan, Boris, Čavdar, Omurtag, Krum, Kubrat e altri. Le parole protobulgare sono solo 100, in quanto dopo la fine del XIV sec. molte di esse sono state sostituite da termini turchi.

I prestiti dal greco sono invece di più, secondo lo studioso Maks Fasmer (Ivanova- Mirčeva, Haralampiev 1999, pp. 334-337) si tratta di 650 parole, di cui 250 letterarie e le altre appartenenti alla lingua parlata. A questo numero si possono aggiungere 850 calchi dal greco. Esempi di parole letterarie sono ad esempio: ad (inferno)- αδης , angel (angelo)- αγγελoς, evangelie (vangelo) ευανγγελιον, mentre di parole dalla lingua parlata: skara (griglia)- σκαρα. Interessante è anche notare come alcuni numerali greci abbiano sostituito in bulgaro i numerali slavi, un esempio hiliada (mille)- χιλιαδα.

Il greco spesso fa da mediatore tra il bulgaro e il latino: spekulator (speculatore)- σπεκoυλατoρ, per i nomi dei mesi januari, fevruari, mart, april maj, juni, juli, avgust, septemvri, oktomvri, noemvri, dekemvri. Tramite il greco sono entrate nella lingua bulgara parole italiane (l’inizio di questo processo è datato al XII-XIII secolo), esempi sono le parole: bastun (bastone); balkon (balcone), kaparo (caparra), kanela (cannella), plik (plico), salam (salame) e altre. Parole greche, latine, italiane e francesi nella lingua bulgara entrano attraverso il turco.

Secondo lo studioso B.Zonev (Ivanova- Mirčeva, Haralampiev 1999, pp.338-341) le parole turche nella lingua bulgara sono 2000. Queste parole nella loro maggioranza sono di origine araba o persiana: budala (credulone)- budala (turco)-budala (arabo); musaka (piatto tipico della cucina araba)- musakka (turco)- musagga (arabo); pejka (panchina)-peyke (turco)-pajgan (persiano).

Agli inizi del XIX secolo il processo di penetrazione di parole turche nella lingua bulgara si attenua, per via del forte influsso politico e culturale della Russia. Questo processo è descritto da Petar Beron (1824) nel suo Riben Bukvar (Ivanova- Mirčeva, Haralampiev 1999, p. 340), qui l’autore mette tra parentesi i termini turchi e lascia liberi quelli bulgari o russi che li sostituiscono. Il processo di eliminazione delle parole turche per alcuni aspetti è stato facile per altri no, esistono termini che non possono avere varianti bulgare o russe ed in ambito dialettale i tempi sono stati più lunghi. Alcuni esempi di parole turche ancora utilizzate sono banica (torta salata), bokluk (immondizia), pazar (mercato), boja (vernice), kolan (cintura).

Per quel che riguarda i prestiti dal russo la situazione è abbastanza complicata, interessante è quello che dice L.Andrejcin (Ivanova- Mirčeva, Haralampiev 1999, p. 356), confermato se pur indirettamente da R.Picchio (R.Picchio, Letteratura della Slavia ortodossa (IX-XVIII sec.), Bari 1991, pp. 103-138), gli studiosi sostengono che il russo penetrato in Bulgaria attraverso i testi sacri, non deve essere considerato come russo, ma come slavo ortodosso comune, conservato per motivi storici in Russia. Infatti, Andrejcin dice: “L’inizio del vero e proprio influsso russo deve essere ricercato lì, ove la lingua inizia ad arricchirsi con un nuovo lessico, preso direttamente dalla letteratura russa”.

La lingua bulgara fin qui delineata, già dal IX secolo presentava delle differenziazioni dialettali, il dialetto degli slavi di Salonicco, presente nei monumenti glagolitici e il dialetto della popolazione slavo-bulgara nordorientale, presente nei monumenti cirillici. Questi dialetti contenevano differenze fonetiche e lessicali (S.Stojkov, Balgarska djalektologia, Sofia, 1968, pp. 49-52). Successivamente i processi migratori hanno modificato questa situazione, quindi allo stato attuale è difficile parlare in modo sistematico dei dialetti bulgari. Questo compito è aggravato anche dalla mancanza di un atlante dei dialetti in questione. Tuttavia i dialettologi bulgari hanno fatto diverse ipotesi di classificazione, seguendo criteri fonetici, morfologici, lessicali e geografici (Stojkov 1968, pp. 52-64). Si tratta di:

  • La classificazione che segue le peculiarità fonetiche.
  • Classificazione per la pronuncia dello ě.(jat)
  • Classificazione per gli esiti della vocale nasale
  • Alcuni tipi di classificazione fonetica
  • La classificazione che segue le peculiarità lessicali.
  • La classificazione che segue la suddivisione geografica
  • La classificazione che segue le peculiarità morfologiche

Interessante è considerare in breve alcune di queste classificazioni. La classificazione per la pronuncia dello ě (jat) distingue tre varianti dialettali:

  • I dialetti occidentali dove lo ě antico bulgaro viene pronunciato solo come e (bel, beli):
  • I dialetti nord-orientali dove ě viene pronunciato come ‘a oppure e (b’al, beli),
  • dialetti sud-orientali dove ě viene pronunciato come ‘a (b’al, b’ali)

Invece la classificazione per gli esiti della vocale nasale ǫ (on) ne distingue cinque:

  • i dialetti in ă
  • i dialetti in a
  • i dialetti in o
  • i dialetti in e
  • i dialetti in u

Un altro tipo di classificazione fonetica è quello della pronuncia del gruppo consonantico št – dž:

  • – dialetti in št-dž (lešta– lenticchie)
  • – dialetti in č (leča)
  • – dialetti in k’, g’ (lek’a).

Mentre le isoglosse morfologiche e lessicali mostrano una zona centrale (la Bulgaria nord-orientale) e una zona laterale (Bulgaria nord-occidentale, sud-occidentale e sud-orientale), la classificazione che segue la suddivisione geografiche è ancora più complicata, in quanto i dialetti non sono ben distinti, ma si intrecciano l’uno con l’altro, per questo non è possibile stabilirne i confini. Comunque è possibile constatare che i gruppi dialettali hanno generalmente una parte centrale e una periferica, ove le parlate hanno caratteristiche di transizione.

Lo studioso bulgaro Stojkov, giustamente sostiene, che tutte queste classificazioni peccano in quanto basate su un’unica caratteristica linguistica, ciascuna delle quali non viene mai a coincidere completamente con l’altra.

C’è da dire però che i dialetti bulgari, se pur non nettamente distinguibili, spesso si presentano come fonti importanti per la filologia bulgara e slava, in quanto in essi possono essere avvenuti processi diversi da quelli della lingua bulgara, un esempio-la conservazione delle vocali nasali antico bulgare nei dialetti dei Rodopi e dei pavlikjani della zona di Plovdiv e Svištov (Ivanova- Mirčeva, Haralampiev 1999, p. 62).

 

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